In occasione delle esequie funebri del compianto Cesare Barioli, Luciano Ghelli (judoka, amico, compagno e “spalla” di Barioli da decenni) ha composto questa stupenda poesia. “La fiaba dell’Iris” è stata letta ai funerali di Barioli ed è stata anche riproposta il 20 ottobre 2012 a Vercelli, in occasione del convegno internazionale AISE dal titolo “Judo, una prospettiva sull’Educazione“.
Ma ora è giusto “lasciare la parola” alla fiaba – magnifica poesia, evocativa di mille ricordi ed esperienze – che da sola ha il potere di descrivere con chiarezza chi era Cesare Barioli e quali erano i suoi ideali.
Quelle sere di mezzo secolo fa, raccontava della sua valle e dei suoi monti.
Lo stavo ad ascoltare assaporando il Barolo di Pio Cesare dal retrogusto di violetta che non mancava mai nel giardino della casa di via Lulli.
La Valtellina, la Val Martello, Lo Stelvio e il Gran Zebrù.
Oggi penso che il suo Judo l’abbia capito andando su per quei luoghi, forti e gentili come i loro fiori.
Il suo muoversi sul tatami era leggero e morbido come i salti dei caprioli sulle rocce.
La picchiata del falco, veloce e definitiva, senza scampo per la preda era il suo Ko-Uchi-Gari.
Il dispiegarsi maestoso delle ali dell’aquila era il suo Hane-Goshi.
Sì, la fiaba del suo Judo è iniziata da lì, ora ne sono sicuro.
Su quei ghiacciai ha trovato la grandezza dell’Universo, le sue leggi e lo spirito per andar per tatami a raccontarle.
Il mondo era diverso sulla parete del Gran Zebrù, vita e morte erano vicine, coraggio e paura erano sensazioni da vincere: la mente vuota.
Lo stato di Mushin.
Si saliva in cordata e si era nello stato del dare al proprio compagno che restituiva…la corda si tendeva ed entrambi erano pronti a far sicurezza al compagno in difficoltà.
Racconta, Maestro, raccontaci la fiaba dell’Iris.
“In Giappone cresce sulle rive dei ruscelli, nella mia valle ne cresce una specie, sui confini dei prati sotto le rocce.
È simbolo di amicizia, prosperità e fiducia e un giorno me ne sono andato sui tatami per dipingere i colori dell’Iris e regalarli a tutti coloro che salivano indossando un judogi.
Correvo con la mia Norton 650 a Novara dalla Maria che faceva un buon Judo, dal Perotti che tirava Uchi-Mata a sinistra, poi a Brescia e a Napoli da Nicola, lui era il campione.
Era bello correre in moto senza casco, sentivi la libertà del vento, il sapore della pioggia, il mondo che ti correva incontro”.
Amicizia, prosperità, fiducia, l’Iris… il Judo.
Racconta, Maestro, raccontaci la fiaba del Judo.
“Ho camminato per strade deserte, ho parlato a persone che non volevano sentire, ho mostrato a persone che non volevano vedere, ho continuato con l’etica del guerriero: ognuno ha diritto all’azione, ma non ai suoi frutti.
Ho incontrato fra le pagine antiche il Prof. Kano, ho capito il Seiryoku Zen’yo e il Jita Kyoei ed ho ascoltato con corpo, mente e cuore le sue parole:
«Non c’è cosa più grande sotto il cielo dell’Educazione,
Con essa la virtù di uno viene trasmessa a molti.
La vera Educazione accelera il progresso di centinaia di anni».
Ho pensato che dovevo contribuire con il mio Judo a “riparare il mondo”.
Che potevo cercare di convincere altri a farlo con me, ad avere la capacità di uscire da se stessi per sentirsi parte di un mondo al quale dare qualcosa, quello che può ciascuno, ma quello…tutto, fino in fondo! Senza nulla chiedere in cambio, nemmeno il Paradiso”.
Un giorno incontrò il Bu Sen.
Una vecchia sala da ballo nel nord-est di Milano, con un grande salone senza colonne, un palcoscenico in tavole di legno e nient’altro.
Fu amore a prima vista.
Racconta, Maestro, raccontaci la fiaba del Bu Sen.
“Ho trovato la casa per il mio Judo, l’ho resa abitabile, l’ho aperta a tutti coloro che volevano cercare con me una via diversa dallo sport.
Ho conosciuto il mio Maestro, Kenshiro Abbe.
«Oggi in Giappone è la Festa della Luna, oggi un allievo ha trovato il suo Maestro.
Quando la Luna è alta nel cielo, guardala e noi saremo insieme».
Ho logorato la mia cintura, ho incontrato Muhen, il monaco che guariva col soffio, mi hanno insegnato la certezza di un impossibile.
Ho conosciuto giovani talenti da educare e donne e uomini catturati dalla loro vita e dalle regole, ho liberato un pezzo del loro cuore per metterci lo spirito del dare.
Ho speso tutto me stesso sul tatami e poi le sere in “Cantinetta” a bere Barbera di Don Rosso e a dissertare con intelligenze vivaci, abitudini ottuse, cuori spenti e spiriti ribelli, ladri, preti, giovani donne gentili, uomini violenti, eroi di una sera.
Ho trasmesso con SHU, molti hanno raggiunto HA, forse alcuni sono arrivati a RI.
Con che risultati? Tanti o nessuno, l’Universo giudicherà.
Io sono rimasto sul tatami come un pescatore che anche se alla fine della giornata non ha pescato nessun pesce, se ne torna a casa felice ammirando i colori del tramonto.
Bu Sen è nato e vissuto per tanti, quando è finito c’eravamo io e Ivana, la mia compagna, che mi sarebbe stata accanto per tutta la vita e Malachia, il mio gatto rosso.
Mi è sembrato un buon gruppo per ricominciare”.
Ed ha ricominciato.
Girando con il suo judogi per i dojo in tutta Italia.
Fondando l’Associazione Italiana per lo Sport-Educazione, cercando contatti in Europa, in Giappone, per trovare persone, judoka, Maestri che condividessero e diffondessero il pensiero del Prof. Kano sul Judo-Educazione.
E così, negli anni, spendendo tempo, energie, corpo, mente e cuore per convincere tutti che prima di pensare di cambiare le istituzioni, bisognava EDUCARE le persone ed il Judo, il suo Judo, poteva essere un mezzo per raggiungere lo scopo.
Quelle sere di mezzo secolo fa raccontava…
Il trionfo effimero della bellezza, la caducità della vita.
Fiocchi di neve si perdono lontano danzando, stelle di notti senza luna sui tuoi monti e il nostro cuore si riempie di malinconia.
Racconta, Maestro, raccontaci ancora la fiaba dell’Iris.
“Iris, fiori dell’amicizia, prosperità, fiducia, forse il vostro destino è finire fra i capelli di una donna”.
Luciano Ghelli
Davvero un componimento emozionante!!
Devo dire che sono rimasto molto toccato da alcuni versi che descrivono l’impegno perseguito del Maestro Cesare Barioli al fine di educare le persone col Judo, il Judo di Jigoro Kano, quello che va oltre lo sport e la competizione, il judo del Jita Kyoei e Seiryoku-zen’yo.
I miei più entusiasti complimenti a Luciano Ghelli per tale espressione poetica.
Che emozione… Ogni volta che la rileggo faccio fatica a non commuovermi. E’ un inno alla Vita ed al Judo (tradizionale)!!!