Michizuki Minoru racconta come avvenne la conversione del judo in disciplina sportiva.
Il codice del bushido
Il bujutsu implica tecniche utilizzate per attacco e difesa, per l’uccisione o la menomazione dell’avversario. Come è indicato dall’ideogramma “bu“, il bujutsu ha il significato morale di “fermare l’arma”, cioè di “arrestare il combattimento”.
Pertanto, quando si utilizzava la propria capacità marziale, era necessario avere una giustificazione morale per ciò che si faceva. Quando la spada veniva sfoderata per uccidere, il bushido esigeva la giustificazione di tale gesto.
Nel Giappone feudale il bushido rappresentava il codice di condotta guerriera, come nell’Europa occidentale vigeva quello della Cavalleria. In altre parole una serie di regole, costituenti un codice severo, erano imposte a chi era autorizzato all’uso delle armi. Durante l’era Meiji con l’abolizione della casta guerriera, la proibizione di portare armi in pubblico, la conseguente incapacità di riprodurre la civiltà occidentale e la confusione di natura economica che ne seguì, il Giappone perse i valori del bushido, come durante la Seconda Guerra Mondiale in Europa scomparvero definitivamente quelli della Cavalleria.
Il metodo Kano
All’inizio del periodo Meiji, un giovane ed energico educatore, Kano Jigoro, studiò il jujutsu per imparare a difendersi, ottenendo anche di migliorare la propria salute.
Avanzando in questa pratica comprese come questi movimenti seguissero una dinamica razionale e sviluppassero armoniosamente il corpo. Ne concluse che questa pratica era appropriata e vantaggiosa ai fini dell’educazione dei giovani, argomento che trovava credito tanto nel Giappone dell’epoca che nella civiltà occidentale.
Trovando che la pratica del jujutsu aveva riscontro nell’etica confuciana, la correlò alle Tre Culture: fisica, intellettuale e morale, creando un metodo educativo completamente nuovo. Così decise di rinominare i metodi di combattimento genericamente conosciuti come “jujutsu” (arte o pratica dell’adattabilità) nel termine “judo” (via dell’adattabilità). Ne risultò un importante contributo dato alla nascente educazione pubblica giapponese, che prese il nome di “metodo Kano“. Questa forma di educazione è il judo.
Volendo ampliare questo contributo filosofico nell’ambito dell’educazione accademica, Kano coinvolse Sasaburo Takano, figura eminente del gekken [o kenjutsu], coinvolgendolo (insieme ad altri maestri) a cambiare il nome della loro disciplina in “kendo” (via della spada), così questa disciplina divenne un mezzo per l’educazione fisica e per la crescita mentale e morale.
Quindi riuscì ad inserire judo e kendo nei programmi delle scuole superiori, offrendo un’interpretazione educativa a queste discipline di combattimento che, dopo la Restaurazione Meiji, avevano perso di attualità e rischiavano di scomparire. Da allora il bujutsu divenne budo. Questi avvenimenti possono essere confermati dalla lettura dell’autobiografia e di altri scritti di Kano Jigoro.
Il judo era una forma di budo
A metà dell’era Taisho (1912 – 1925) mentre la pratica sportiva iniziava a diffondersi in Giappone, si formò una corrente di pensiero che concepiva il judo come sport. Essa trovava alimento nel fatto che Kano-sensei fosse responsabile della promozione sportiva, proponendola dall’alto della sua autorità di Presidente del Comitato Olimpico giapponese, e di praticante attivo. Questo pensiero trovava credito nella gente sia in Giappone che all’estero.
Accadde anche uno spiacevole episodio. Il signor Okabe Heita, stretto discepolo di Kano, andò in America per impratichirsi del concetto e della pratica dello sport e tornò in patria divenuto fervente sostenitore della trasformazione del judo in disciplina sportiva. Ebbe una notte di animata discussione con Kano, in seguito alla quale Okabe abbandonò il Maestro e questo fatto ebbe risonanza nella Tokyo Koto Shihan Gakko [ora Università di Medicina ed Odontoiatria di Tokyo] per la quale Kano lavorava.
Per contrastare la tendenza a trasformare il judo in uno sport, Kano insisteva fermamente sul “judo-budo” come forma di educazione. Nel marzo 1928, per dare sostegno alla sua concezione del judo, fondò e supervisionò un dipartimento di ricerca del Kodokan sulle antiche scuole (koryu) delle discipline di combattimento tradizionali (kobudo).
Utilizzando il dojo di Kaiunzaka Otsuka che si trovava vicino alla sua abitazione come centro di pratica e applicando i consigli di Sasaro Takano, organizzò la protezione degli stili (ha) di gekken e di bojutsu (scuole di spada e di bastone) e delle arti di combattimento antiche.
Gli ultimi due membri di quel gruppo di studio sono lo scrivente Minoru Mochizuki e Yoshio Sugino, 10° dan di kobudo della città di Kawasaki.
Takasue Ito conosceva bene la situazione, avendo ricoperto la carica di capo-segretario del Kodokan per oltre trent’anni nella posizione di braccio destro di Kano, ma sfortunatamente è mancato nell’autunno ’57 all’età di 94 anni. Egli credeva strenuamente nel “metodo Kano” e fino alla morte ha combattuto contro la conversione del judo in sport.
Fino al 1956 quest’uomo determinato riunì in un’associazione – la All Japan – alcune centinaia di persone che condividevano la sua opinione, alcuni dei quali erano judoka di alto livello, e si prodigò in conferenze sul tema “Il judo è una forma di budo“. Nei successivi quattro anni io continuai la sua opera.
L’inarrestabile ascesa del judo come sport
Non appena il signor Kano Risei (figlio adottivo di Kano Jigoro), che aveva mantenuto una certa distanza dal Kodokan per la sua scarsa considerazione del judo, divenne il 3° Presidente della sede centrale (dopo Kano Jigoro e Jiro Nango) iniziò una serie di tentativi mirati alla conversione del judo in sport e alla sua promozione e affermazione come disciplina olimpica. I seminari tenuti da Ito-sensei costituivano una davvero scarsa resistenza a questo movimento.
Nel tentativo di raccogliere ingenti donazioni necessarie al trasferimento della sede di Suidobashi nella struttura attuale, il capo-segretario Ito, il maestro Mifune Kyuzo e Kudo Juzo [Kazuzo] visitarono diverse volte Shoriki Matsutaro (già praticante di Sanko-ryu) fervente sostenitore del metodo educativo Kano.
Shoriki era un’autorità del giornalismo nipponico in campo economico e finanziario e venne persusaso a sponsorizzare la costruzione del nuovo Kodokan ponendo tuttavia la condizione di rinunciare al progetto del judo-sport per tornare verso l’educazione basata sul judo-budo. Ma scoprì, mentre si ultimava la costruzione del nuovo edificio, che il Kodokan cercava di nascondere la promozione del judo come sport dietro la creazione di kata di difesa personale (ippan-jo-goshin-no-kata e fujoshi-jo-goshin-no-kata, confluiti poi nel Kodokan-goshin-jutsu). E si arrabbiò tanto da finanziare la costruzione del Budokan, istituto che accoglie riunioni e conferenze per la promozione delle scuole tradizionali e ha un’associazione di ricerca sul budo.
Probabilmente siamo entrati in un’era in cui lo sport non sparirà. Il budo giapponese aspira a qualificarsi come sport, cioè alla celebrazione delle doti atletiche, tecniche e fisiche che rappresentano l’istinto di combattimento e l’energia vitale dell’umanità.
Anche se lo sport nasce facendo richiamo alla morale della Cavalleria europea, questa etica è rapidamente degenerata prestando il fianco a critiche. Nello stesso tempo la politicizzazione e la commercializzazione dei Giochi è diventata tale da provocare la proposta di tornare a disputare le Olimpiadi in Grecia (ponendo fine al continuo superamento dello sfarzo precedente).
Questa trasformazione, dai buoni propositi alla realtà attuale, ha macchiato il mondo dello sport e ha fatto dimenticare la Cavalleria medievale.
Il budo trova consenso in Europa
È abbastanza ironico osservare che il budo originale giapponese è stato progressivamente accettato dagli europei, anche se è mia opinione che confondano spesso il budo col bushido.
Quando, alla Olimpiade ’64 in cui il judo era ammesso come sport dimostrativo, un occidentale conquistò per osae-komi il titolo più ambito, alcuni tifosi entusiasti hanno invaso il tatami. Una foto famosa mostra il vincitore Anton Geesink che stacca il braccio sinistro dalla presa su Kaminaga, fermandoli e apostrofandoli perché scendano dal tatami. Credo che quella sia stata una splendida espressione dello spirito del budo.
Osservo anche che i nostri praticanti che vivono a lungo in Europa e in America, cambiano molto e appaiono essere più praticanti di budo che di judo sportivo. Solitamente manifestano anche interesse per praticare il budo, mentre alla partenza erano puri judoisti.
Forse solo il Giappone vuole veramente che il judo sia sport, mentre in Europa e in America il judo viene promosso come budo. Questo accade probabilmente perché gli stranieri hanno nel loro paese un jujutsu attivo e si profila la situazione tragicomica di un ribaltamento di concezioni.
Il judo è una grande proposta educativa per trasformare il corpo e la mente, ma lo può fare solo conservando la sua origine budo. Dovremmo riflettere attentamente sul severo monito di Kano-sensei contro la conversione del judo in disciplina sportiva.
Esistono tre elementi che caratterizzano lo sport: capacità fisiche, sviluppo della tecnica e ricerca della vittoria; mentre il budo è un mezzo per coltivare l’intelletto, la virtù e il coraggio… e per cercare la giustizia sociale, che supera questi tre elementi.
Il budo ha un effetto diretto sulla vita del praticante e comporta nell’individuo lo scaturire di un’espansione di coscienza caratterizzata dalla chiara comprensione della ragione e dello scopo della propria vita.
[Tratto da InfoFuji, aprile 2011]
Cesare Barioli nel suo “Kano Jigoro educatore” sostiene, in termini schietti ma non critici, che lo Shihan fallì nel suo obiettivo e che vi fu un generalizzato tradimento dei suoi ideali. Concordo pienamente!
Niente di più vero!! Attualmente sui tatami c’è la prevalenza di una massiccia porzione di judoka senza morale, educati solo al fine agonistico che vanno avanti fino a quando il fisico glielo permette, ma si fermano subito non appena realizzano che è arrivato il momento di “appendere il judogi al chiodo”, di dire addio alle competizioni e incominciare a praticare judo con un altro spirito.